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MERLUZZO FRITTO

Un tempo per friggerlo si usavano l’olio di linosa, ossia di semi di lino, l’olio di ravizzone o qualunque altro olio miscelato al cui confronto l’odierno “olio di semi vari” appare un miracolo dietologico e gustativo: questo per dire che non sempre (anzi molto raramente se osservate) in passato le cose andavano meglio di oggi.

Ora a Milano si frigge con olio d’oliva, salvo quando le sciocchezze pseudodietetiche ancora si trascinano: e le considerazioni economiche non valgono, dato che un fritto di merluzzo si farà un paio di volte all’anno, quindi crepi l’avarizia. Allora, c’è un primo modo, quello popolare dei “polentatt”, che merita comunque rispetto:

CON LA PASTELLA:
stemperare farina in misura di 250 g per ogni 800 g di merluzzo bagnato con l’acqua necessaria a formare una pastella collosa ma non liquida.
Non salarla, e lasciarla riposare tra mezz’ora e un’ora perché perda elasticità e non si ritiri in cottura.

Tagliare nel frattempo il merluzzo bagnato a pezzi il più possibile regolari di circa 12×6 cm, levando lisca e spine ma, se possibile, non la pelle.

Assaggiare un pezzetto dal centro del merluzzo, in modo da regolarsi poi con la salatura a fine cottura.

Scaldare in una padella di ferro o di alluminio pesante due dita dell’olio prescelto, e quando una goccia d’acqua gettatavi dà un suono secco e acuto, mettere le fette di merluzzo passate precedentemente nella pastella, badando che non si tocchino.

Dopo 30 secondi abbassare il fuoco, cuocere 4 minuti dal momento dell’immissione, poi voltare le fette, alzare il fuoco, dopo 30 secondi abbassarlo e cuocere ancora per 3 minuti. L’esterno deve essere dorato, senza parti scure. Scolare, servire su carta assorbente (la normale da cucina va benissimo, una volta si usava la carta da macellaio o quella bluastra “da zucchero”) dopo aver salato all’ultimo momento.

Un uso tipico milanese era quello di spolverare con zucchero a velo, salando o non salando a gusto.

CON LA FARINA:
il metodo con la pastella era, per evidenti ragioni commerciali, il cavallo di battaglia dei “pubblici friggitori” i quali, fra pastella e polenta, riuscivano a ridurre la razione proteica al minimo.

Nelle case dove il merluzzo era accolto, si friggeva piuttosto infarinato, dato che la leggera umidità sempre presente alla superficie creava essa stessa una sorta di pastella molto più leggera.

Modo più raffinato è quello di lasciare, per un’ora precedente la frittura, le fette di merluzzo a bagno nel latte, poi di infarinarlo e friggerlo.

La salatura sempre al momento del servizio.

da “La cucina dei Milanesi” – Marco Guarnaschelli Gotti

La cucina dei milanesi

Una ricetta e una regione al giorno – da 01/01/2019

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