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PESTO

ingredienti

  • Almeno 3 mazzi di basilico fresco, con le foglioline piccole
  • Aglio: 1 spicchio, oppure in dose maggiore a seconda dei gusti
  • Pecorino secco (sardo) o fresco
  • 1 pugno di pinoli
  • Parmigiano
  • Sale grosso
  • Olio di frantoio

Quando si usava il mortaio di marmo con il pestello di ulivo, si ponevano sul fondo per primi l’aglio e il sale grosso, importante per mantenere verde il basilico e si davano i primi colpi; poi si aggiungeva man mano il basilico (le sole foglie lavate e asciugate) sino a ottenere una sorta di pasta; quindi era la volta dei pinoli e del formaggio.

In genere le due qualità di cacio si dividono in parti eguali, ma, è logico, si può abbondare in un senso come nell’altro a seconda del palato. Il composto, ben amalgamato, veniva “montato” con olio d’oliva, magari in una terrina e non più nel mortaio per motivi di comodità. In genere dopo le prime volte si acquista una certa disinvoltura e ci si accorge se un ingrediente è eccessivo.

Oggi, è inutile nascondersi dietro la retorica e l’ipocrisia, si usa il frullatore. Che è pratico, ma nasconde un’insidia: l’olio rischia di “cuocere”, per via del calore, il basilico. E questo è un male perché il pesto è una salsa rigorosamente a crudo.
Si deve ovviare all’inconveniente usando la velocità minima e facendo delle brevi pause per evitare il riscaldamento delle pale. Eventualmente si può aggiungere dell’altro olio (meglio tenersi stretti con il frullatore) per raggiungere la classica manteca nella ciotola dove il pesto, coperto ancora d’olio, potrà essere conservato in frigo per diversi giorni.

Come s’è già detto, il pesto per il minestrone non vuole i pinoli. Se si prepara però, come nel Tigullio, con la quagliata al posto del parmigiano e del pecorino, sarà bene consumare rapidamente la salsa, perché i limiti di conservazione sono minori.

Il pesto può essere accompagnato a molti tipi di pasta secca, perché non lega con l’uovo.
Si consigliano in primo luogo le classiche “trenette” (bavette, lingue di passero), cioè spaghetti appiattiti, dalla sezione vagamente ovale.
Le trenette possono essere normali, oppure “avvantaggiate”, cioè con la crusca: queste ultime fanno parte di epici ricordi d’un passato ormai remoto, ma costituiscono un originale reperto filologico nel caso di ospiti poco informati sulla gastronomia genovese. Subito dopo le trenette seguono, in ordine di importanza, le lasagne, gli gnocchi di patate, le “pappardelle” (fettuccine arricciate a smerlo ai lati) e le “troffiette” di Recco, cioè gnocchetti di farina di grano duro, ritorti, lunghi mezzo dito mignolo.

da La cucina dei Genovesi, di Paolo Lingua

copertina La cucina dei Genovesi

Una ricetta e una regione al giorno – da 01/01/2019

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